«Nino cammina, che sembra un uomo, con le scarpette di gomma dura…». Adesso non arriva il rigore, il non aver paura. C’è un banco, lui seduto, con la mascherina. Dietro uno schermo o seduti fermi per ore: così migliaia studenti hanno passato gli ultimi due anni e mezzo di scuola. Un tempo infinito per chi misura la propria vita a minuti, ad amici, a tiri di pallone. Sono loro una delle parti fragili di questa pandemia.
Le ultime indagini statistiche lo hanno detto chiaramente: la maggiore soddisfazione professionale degli insegnanti viene dal loro lavoro in classe, quello con gli studenti. Per pensare alla scuola, con onestà intellettuale, è proprio da questo rapporto (esclusivo?) che bisogna partire. Competenze trasversali, non cognitive, soft skills, non hanno nulla a che fare con la vicinanza agli studenti, con la libertà di insegnamento che i docenti reclamano a gran voce, preoccupati della crescente perdita di conoscenze e contenuti culturali.
In una scuola dove le parole d’ordine sono gratuità, inclusione, personalizzazione, si cerca in ogni modo di far entrare profitti, parametri, standard, mentre abbiamo bisogno di professionalità, passione, creatività. Una scuola capace di riprodurre esperienze e rigenerare sé stessa.
Le cronache di questi giorni hanno messo definitivamente in chiaro quanto la libertà, i diritti della persona, siano valori che si possono perdere in fretta. Sono valori da difendere e da mantenere. Se la pace è un bene essenziale, lo è anche l’istruzione. La conoscenza è bellezza, cultura, libertà.
Parlare di scuola oggi significa riaffermare il valore del sapere, della conoscenza, della professione.
Significa dare valore alla comunità educante e dare seguito agli impegni. La scuola ha superato la pandemia e ora guarda alla guerra, accogliendo. Tutto il personale ha lavorato con tenacia, testardaggine, voglia di farcela, di rinnovarsi, con le distanze, le vicinanze, e poi l’alternarsi di vicinanze e lontananze. E non è solo questione di tempo o di distanze fisiche. È tema sostanziale.
Questa scuola merita un grazie. Non quel riconoscimento dovuto che tutti offriamo al nostro sistema di istruzione ma quell’insieme di misure che il mondo della scuola attende: stabilità del lavoro, regole certe, spazi adeguati, scuole sicure. Ed anche dialogo, confronto, coordinamento. Soluzioni condivise che poi vanno verificate, attuate, monitorate. E anche un contratto di lavoro rispondente al compito che la scuola già assolve nel nostro Paese.
È il momento della responsabilità, parola con cui si apre il Patto per la scuola. La crisi internazionale rischia di minare il piano di interventi previsto dal Pnrr che, nei capitoli destinati all’istruzione, offre risorse più per le infrastrutture che per le persone.
Questo è il momento di ricordare che aule tecnologiche, palestre, asili, rendono il nostro Paese adeguato ma solo l’impegno professionale di chi lavora in questi ambienti rende la scuola migliore.
Parlare ancora di democrazia e partecipazione, con la velocità dei mutamenti imposti dal passo accelerato della storia, significa agire politicamente, riproporre il valore del confronto.
Patto per la scuola (relazioni sindacali), Pnrr (infrastrutture), Contratto (persone) sono le strade da percorrere. L’identità è pensiero che ha bisogno di azioni. Decidere di scegliere il dialogo significa dunque avere idee, offrire disponibilità e soluzioni. Significa scegliere la strada della responsabilità per ottenere quegli obiettivi urgenti che la scuola attende e merita, che non possono essere più rinviati.