Da quando sono stato eletto Segretario generale della Uil Umbria, da novembre 2021, grazie al confronto quotidiano che ho con tutti i responsabili territoriali delle varie categorie, ho avuto modo di entrare, in maniera ancora più approfondita, nelle questioni che riguardano la Regione. Un dato balza agli occhi più degli altri: secondo l’Istat, l’Umbria negli ultimi dieci anni è sprofondata dal quinto al tredicesimo posto nella “classifica” delle regioni meno povere. La quota di famiglie in povertà ha toccato il 14,3%, a fronte di una media nazionale dell’11,8%.
La pandemia non ha fatto altro che peggiorare in maniera drastica il quadro generale, inasprendo la vulnerabilità e la diseguaglianza sociale. Se, poi, si prende in esame il dato relativo al Pil regionale, tra i più bassi d’Italia in termini di crescita, si può comprendere in maniera chiara quanto la situazione sia grave e complicata.
Sarebbe un errore pensare che le risorse del PNRR basteranno da sole per risollevare la regione. Per l’Umbria serve una svolta radicale, profonda e incisiva. Urgono, ad esempio, politiche pubbliche volte a qualificare e allargare la produzione di ricchezza e valore aggiunto: il lavoro in Umbria è scarsamente qualificato, poco remunerato e, spesso, sotto inquadrato rispetto ai livelli di istruzione. Mancano investimenti pubblici e anche privati, elementi fondamentali per risollevare l’economia regionale e per migliorare la qualità del lavoro.
Da anni lamentiamo l’assenza di una “vera” politica industriale. Il comparto manifatturiero, che dovrebbe rappresentare il “motore” trainante del territorio, non è stato finora in grado di affrontare il cambiamento. Colpa di una disarticolazione tra le politiche dei vari enti locali, dell’assenza di confronto con le parti sociali, della debolezza della macchina amministrativa colpita da tagli, dello scollegamento tra scuola, università e sistema produttivo, delle infrastrutture deboli, degli alti costi logistici ed energetici, della prevalenza di aziende di piccole e medie dimensioni, poco propense all’innovazione e all’aggregazione.
Va creato un nuovo modello di specializzazione produttiva, caratterizzato da innovazione dei processi e dei prodotti e sostenibilità ambientale, che generi una crescita qualitativa (redditività) e dimensionale del sistema delle imprese, andando a rafforzare la capacità competitiva. Facendo questo, potremmo finalmente avere la crescita di un’occupazione di qualità, stabile, non precaria e di alto valore.
Particolare attenzione va poi rivolta ai giovani, sempre più relegati ai margini del mondo del lavoro e costretti a vivere in un “limbo” che non consente loro di intraprendere una vita autonoma. In questo diventa, a nostro avviso, prioritario allacciare il mondo delle scuole e dell’università con le realtà produttive, attraverso progetti e piani ben definiti. Come Uil, stiamo organizzando inoltre dei corsi rivolti agli studenti delle scuole secondarie mirati a coinvolgerli nella vita sociale dei propri territori, cercando di risollevare quell’attenzione, quell’amore e quel senso di appartenenza che oggi sembrano perduti.
Capitolo a parte, quello della sanità. La Regione ha presentato un Piano sanitario agli antipodi delle reali esigenze del nostro territorio. Cosa ancora più grave, tale Piano non è stato minimamente fatto oggetto di confronto con le parti sociali. Per questo, Cgil Cisl e Uil dell’Umbria hanno raccolto 8.500 firme per dire “no” al Piano così come voluto dalla Regione. Questo perché pretendiamo che su una parte così importante della vita di tutti i cittadini e delle migliaia di lavoratrici e lavoratori interessati, ci sia un confronto democratico e, soprattutto, mirato alla valorizzazione di una sanità pubblica e universale.
Come Uil, abbiamo il diritto, le competenze, la voglia per partecipare attivamente e in prima linea al processo di cambiamento che, gioco forza, dovrà interessare a tutti i livelli la nostra Umbria.