Il nostro Paese ha il bisogno impellente di avviare tutte le transizioni, richieste dall’Europa e sancite nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: da quella energetica a quella digitale, da quella ambientale a quella industriale e del lavoro. Una necessità che diventa dirimente per il Mezzogiorno e tanto più per la Calabria.
Il Paese deve procedere spedito verso questa modernizzazione. Tuttavia, l’urgenza di rinnovamento del sistema Italia stride fortemente con i tempi troppo lenti, con i quali il governo Draghi procede lungo il percorso di riforma degli ammortizzatori sociali, delle politiche attive e della formazione professionale.
Nessun processo di rigenerazione industriale e produttiva, è possibile se non si formano e si qualificano le “menti” e le “braccia”, ovvero le lavoratrici, i lavoratori, i giovani e le donne, oggi esclusi dal mercato del lavoro.
Il governo Draghi, eviti di commettere l’errore compiuto dagli altri governi che lo hanno preceduto.
Il rischio sotteso a questi ritardi è infatti quello di veder svanire o, nella migliore delle ipotesi, procrastinare sine die l’impegno di quasi cinque miliardi di euro messi a sistema per l’avvio di “Gol.
L’Italia, però, in questo momento ha bisogno di rimettere in moto i suoi sistemi produttivi, ha bisogno di nuovi occupati, per questo è necessario intervenire sui Centri per l’impiego.
In un Paese in cui mancano all’appello 76 mila infermieri e 11 mila medici, in cui alla macchina della giustizia servono 10 mila addetti e gli enti locali devono fare fronte alla carenza di 20 mila dipendenti, non è accettabile che i Centri per l’impiego non siano stati ancora resi concretamente operativi e che gli stessi ancora scontino un vuoto in organico di circa 12 mila addetti. Per la sola Calabria, il Governo aveva messo a disposizione le dotazioni necessarie per sottoscrivere 260 contratti di assunzione. Ad oggi, purtroppo, nulla è stato ancora fatto.
Siamo convinti che la gestione di alcune competenze che la riforma del Titolo quinto della Costituzione ha lasciato in mano alle autonomie regionali debba tornare in capo allo Stato. È fondamentale, infatti, che si individui, in tempi europei, un luogo di coordinamento nazionale in grado di dare un indirizzo specifico alle regioni su questi temi.
L’Ocse ha detto chiaramente che per la ripartenza del Paese bisogna fare crescere il lavoro di qualità, e che bisogna farlo soprattutto al Sud e che questa rivoluzione deve coinvolgere i giovani.
Registriamo preoccupati, poi, il ritardo nel confronto con le parti sociali che non solo contravviene all’indicazione vincolante di Bruxelles, ma mette in risalto la miopia della politica nazionale e locale. In una fase di radicale mutamento, ridisegnare il futuro della società, comporta un diritto e un dovere di partecipazione che riguarda tutti gli attori sociali presenti sul territorio.
Anche alla luce di ciò, infine, i partiti che compongono le istituzioni nazionali hanno l’obbligo etico e morale di trasferire questa attenzione ai propri rappresentanti all’interno delle istituzioni locali che, purtroppo, stanno mancando sul piano del confronto con il partenariato e mettendo a rischio la possibilità che anche la Calabria salga sul treno della ripartenza.