lunedì 25 Settembre 2023

Per il paese e per la Liguria occorre un cambiamento epocale e strutturale

Il modello Genova non esiste, o meglio, ha funzionato sull’onda dell’emergenza legata, nello specifico, al crollo del ponte Morandi. Esportare questa esperienza si può, ma dubito che sarebbe efficace proseguire sulla scia del progresso a colpi di commissari straordinari. L’Italia potrebbe e dovrebbe avere la sua rivincita solo ed esclusivamente se sarà in grado di esprimere politiche di sviluppo serie ed efficaci, che sappiano rendere strutturali i provvedimenti necessari e abbattere quella burocrazia dannosa che impedisce un sano progresso. Passa tutto da un’assunzione di responsabilità di politica e istituzioni che, ovviamente, male si sposa con l’orrenda pratica della campagna elettorale permanente alla quale siamo tristemente abituati. La burocrazia, come sappiamo, nasce per un principio di uguaglianza: ogni cittadino, ogni impresa, ogni associazione ha il dovere di sottostare alle stesse regole e ai medesimi processi. Poi sappiamo che non va esattamente così in un Paese che brilla, si fa per dire, per un elevato tasso di corruzione. 

Il Paese, il nostro territorio, ha bisogno di tagliare i ponti con le emergenze. In Liguria ne abbiamo da vendere, a partire dal dissesto idrogeologico che continua a condizionare in maniera pesante il diritto alla mobilità dei cittadini e a frenare l’economia. È di questi giorni l’immagine raccapricciante di una porzione del cimitero di Camogli franato in mare. Il modello Genova, sul territorio ligure, ha consentito di costruire in 15 mesi il ponte crollato un anno prima, il 14 agosto del 2018, un’opera da 200 milioni di euro che con procedure normali e Codice degli appalti, avrebbe visto la sua realizzazione in tempi biblici.

Il Ponte di Genova rappresenta un’eccezione più unica che rara in tutta la storia della nostra burocrazia. In Liguria sono stati nominati, nel frattempo, altri commissari per la realizzazione di opere strategiche di cui si parla da molto tempo. Sonotre le grandi opere liguri che, secondo l’ultimo governo, hanno bisogno di un commissario:la nuova diga di Genova, il completamento del raddoppio ferroviario Genova – Ventimiglia e il risanamento della caserma della polizia Ilardi di Sturla.

Ma non basta, la Uil Liguria si batte da tempo per la realizzazione delle grandi opere che potrebbero liberarci dall’isolamento: la Gronda è una priorità che deve compiersi nel più breve tempo possibile e, naturalmente, in sicurezza. Esistono terribili ritardi negli investimenti su terzo valico, Pontremolese, raddoppio della tratta tra Finale Ligure e Andora, nei collegamenti ferroviari del porto di Vado Ligure. Se poi aggiungiamo le vicende giudiziarie dei costruttori impegnati nel nodo ferroviario di Genova, depotenziato rispetto al progetto iniziale, abbiamo un’immagine di una regione sprovvista di progetti, vecchia e malandata senza possibilità di appello. Presso i nostri porti transita una quota rilevante del pil del Paese. Se però le merci non troveranno collegamenti con i retroporti situati nelle regioni del Nord, qualcuno deciderà di servirsi altrove, ma non necessariamente nei porti italiani.

La speranza è che queste opere vengano portate a termine a breve assicurando il necessario ricorso alla legalità e alla salute e alla sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori che verranno impiegati. Siamo pronti a velocizzare il Paese? Forse, Draghi, dall’alto della sua esperienza, libero dai comuni condizionamenti, potrebbe affrontare il tema dando la giusta rotta a un’Italia in crisi. Che questo cambio di rotta si possa definire “modello Genova” poco importa: a noi interessano i fatti.