«Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito; lo statista a quello del suo Paese». Queste parole del predicatore americano James Freeman Clarke fotografano esattamente la situazione che stiamo vivendo in Italia e che dovrebbero rappresentare il motto per il futuro.
L’avvento del governo Draghi – oltre che dettato dall’urgenza di accelerare la campagna di vaccinazione per fermare la pandemia di coronavirus e scrivere un Recovery Plan che porti l’Italia fuori dalla crisi – è proprio la dimostrazione che in Parlamento e al Governo (e potrei dire anche nelle Regioni, a partire dal Veneto), abbiamo dei politici, non degli statisti. Non si pensa cioè a progettare per il futuro, si guarda al consenso immediato e spendibile in chiave elettorale invece che gettare le basi per progetti e riforme a medio e lungo respiro.
Fateci caso: siamo l’unico Paese d’Europa che fa “fatica” ad utilizzare il nome proprio del piano di aiuti per il post Covid-19: “Next Generation”. È un piano da realizzare oggi e i cui frutti saranno raccolti dalla prossima generazione.
Non credo nei poteri taumaturgici di Mario Draghi: è sicuramente uomo di grandissime qualità, competente e rispettato. Ma gli riconosco sicuramente una dote (già esplicitata nel 2012, ai tempi della manovra per salvare l’euro con la famosa frase “whatever it takes”, “costi quel che costi”: che è proprio quella di guardare al futuro, di pensare in prospettiva, di ragionare su quello che servirà domani e dopodomani, non oggi.
Misureremo le sue azioni man mano, in modo laico e oggettivo. Ma mi fa piacere che al primo posto nel suo discorso con cui ha chiesto la fiducia alle Camere abbia messo la scuola, che è il tasto su cui pigio ogni giorno qui in Veneto.
La scuola (insieme alla sanità) è una delle realtà che ha subito negli ultimi anni i tagli più pesanti. La pandemia ha messo drammaticamente in evidenza gli effetti di queste politiche, in termine di risorse e personale. La scuola, la formazione, richiedono investimenti a lungo termine, con benefici che – come dicevo all’inizio – non si possono misurare nell’immediato. In questi mesi è stato il lavoro ineccepibile dei docenti e del personale scolastico che ha permesso alla macchina di non fermarsi. Parliamo di banchi a rotelle, ma abbiamo un sistema scolastico con un forte gap tecnologico, e con percorsi di studio lontani dal mondo del lavoro. Dobbiamo occuparci di formazione. Nel mondo del lavoro post Covid-19 occuperà un ruolo centrale. Ma già da ora dobbiamo ripensare i percorsi formativi, capire quali sono le professionalità richieste e renderli più vicini al mercato del lavoro. Lo stesso vale per chi dovrà riprofessionalizzarsi in seguito alla crisi, per le modifiche alle quali il mondo produttivo andrà inevitabilmente incontro.
Scuola, formazione, lavoro. Sono questi i pilastri su cui costruire il futuro dell’Italia. Non può mancare il diritto alla salute, con servizi diffusi e capillari: la popolazione invecchia inesorabilmente (in Veneto il 25% degli abitanti ha più di 65 anni) e bisogna fare in modo che la qualità della vita sia dignitosa.
Un cenno veloce ad altri due temi a me molto cari: le politiche di genere (le donne sono state pesantemente penalizzate durante la pandemia) e quelle ambientali. La pandemia ha cancellato la discussione sul clima, ma il problema è attuale e importante: un tema da affrontare, come tutti gli altri, pensando alla prossima generazione.